lunedì 7 ottobre 2013

IT'S (NOT) ALWAYS SUNNY IN PHILADELPHIA

"We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these there are Life, Liberty and the pursuit of Happiness". 
Questa frase, la pietra miliare del sogno americano, è contenuta all'interno della Dichiarazione d'Indipendenza, scritta da Thomas Jefferson e ratificata a Philadelphia nel 1776. Non potrebbe esserci posto più diverso da New York. La differenza è palpabile: Philly, come la chiamano i suoi abitanti, è una bella città, ricca di monumenti, ma non ha nemmeno la metà della luce di New York. E credetemi, non parlo di qualcosa che si può risolvere con una bolletta dell'energia elettrica più salata. 
Volevo visitare questa città per mettermi sulle tracce di chi il sogno americano l'ha creato, ma grazie allo shutdown del governo è stato molto più semplice incontrare chi quel sogno l'ha inseguito e realizzato partendo dal nostro paese. 
La pasticceria della famiglia Varallo è a South Philly dal 1973. Entrando, hai la sensazione di essere teletrasportato nel Sud degli anni '60: l'arredamento, la musica di sottofondo, tutto grida Italia a gran voce. "Mio padre è di Montella, il paese delle castagne. Mia madre è di Paternopoli, in provincia di Avellino. Sono arrivati a Philadelphia quarant'anni fa. All'inizio è stata dura. Non parlavano la lingua e soprattutto mia madre ci ha messo parecchio ad ambientarsi. Paternopoli è davvero un paese piccolo, per lei era tutto nuovo, era spaventata. Poi hanno aperto la pasticceria e lavora oggi, lavora domani, oggi possono permettersi di tornare in Italia tre volte l'anno. Hanno lavorato tanto, i miei. Tutte le volte che tornano dall'Italia dopo un viaggio mi dicono che gli manca il sole. Qui piove spesso. L'ultima volta mi hanno detto che sentiranno sempre la mancanza di casa, ma che non tornerebbero mai e poi mai indietro. Io non ci vado da un po'. È così brutta la situazione?" 

City Coffee, la tavola calda in cui mi fermo a pranzare nella piazza retrostante l'enorme palazzo comunale di Philadelphia, appartiene a Cosimo. Sento il suo accento inconfondibile e mi presento. 
Pugliese, in America da 21 anni, Cosimo mi chiede immediatamente "Come va a casa?" 
Non so da dove cominciare e cerco di glissare, ma è curioso. Provo a descrivergli gli ultimi 10 mesi di politica italiana e mi ferma. "Questa è una delle ragioni per le quali sono partito 21 anni fa. Non riusciamo mai a metterci d'accordo su niente, ognuno pensa agli affari suoi e tutto va male. Qui ho trovato lavoro in fretta. Non ti regalano niente: agli americani non piacciono quelli che non lavorano, ma se dimostri che vuoi fare e ti impegni ti accolgono come un figlio. È un paese costruito dagli immigrati, e se rispetti la legge e ti comporti bene difficilmente hai problemi. Oggi possiedo questo bar e ho appena aperto un ristorante a South Philly. Se passi di lì, ti accorgerai di quanto è grande la comunità italiana: sono tutti di seconda o terza generazione. I turisti di solito non ci vanno: fatti riconoscere, faranno a botte per offrirti la cena". 

È il destino di noi italiani o solo una contingenza che dura da più di un secolo?

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